Biografia: 1945-1954

1945

Condirezione della rivista “Metron” (fino al 1955).

“Metron”

metronUscì nell’immediato dopoguerra, per iniziativa di Eugenio Gentili, Luigi Piccinato, Enrico Tedeschi, Cino Calcaprina, Silvio Radiconcini, Bruno Zevi.
I primi ventiquattro numeri -piccolo formato, carta ruvida, poche illustrazioni- servirono ad aggiornare la cultura italiana che il fascismo aveva isolato dal circuito internazionale.

  • Equiparazione della laurea americana, approvata dall Facoltà di architettura e dal Senato Accademico dell’Università di Roma.
Pubblicazione di "Verso un'architettura organica".

“Verso un’architettura organica”
Saggio sullo sviluppo del pensiero architettonico negli ultimi cinquant’anni
Einaudi, Torino 1945. Edizione inglese “Toward an organic architecture”, Faber & Faber, London 1950.

Prefazione a “Verso un’architettura organica”

Io ho sempre scritto pensando che il lettore, anche se non lo sa, è già dalla mia parte. Solo così potevo scrivere con sincerità.

Havelok Ellis, “La danza della vita”.

Queste pagine non sono né una storia né una teoria dell’architettura moderna. Meno ancora un programma per un futuro movimento in architettura. Esse raccolgono osservazioni sullo stato dell’architettura fatte durante gli studi in Italia e in America, poi durante due anni di lavoro negli Stati Uniti.
L’intenzione originale era di presentare ai lettori italiani gli ultimi contributi sull’architettura americana con un breve accenno sugli intenti che li accomunano, e un’analisi dei complessi di case operaie costruite durante la guerra e dei nuovi metodi di costruzione prefabbricata. Ma, accingendomi a raccogliere il materiale, ho visto che l’« accenno» agli intenti, per essere chiaro, aveva bisogno di una base storica, e che le direttive e gli scopi dell’architettura americana avrebbero acquistato risalto se messi a confronto con quelli dell’architettura europea. Il presente libretto è quindi tutto dedicato alla prima parte del disegno originale, forse quella che ha minore importanza immediata.
Storie dell’architettura moderna sono uscite in gran numero negli ultimi anni in America e in Inghilterra ed alcune di esse sono eccellenti. Ma in generale queste storie si chiudono dopo aver trattato della prima generazione di architetti moderni, dei maggiori maestri che lavorarono, specie in Germania e in Francia, dalla fine della scorsa guerra agli anni intorno al 1933. Il mio proposito è invece di ricercare una direttiva nell’architettura degli anni più recenti; più che di storia, si tratta perciò di cronaca, ma è evidente che in essa già possa scorgersi un atteggiamento intellettuale e artistico verso l’architettura degno di essere esposto. I migliori architetti contemporanei vanno verso un genere di architettura cui qui si è dato il nome di organico; se non ha altro merito, questa qualifica per lo meno non finisce in «ista», indicando cosi di non essere un programma o un sogno di architettura, ma una tendenza concreta di edifici e di architetti.
La tendenza è ancora embrionale; più esattamente è un discorso interno, una critica intima dell’architettura moderna del primo periodo. Ha più forza in America che altrove per la presenza di un genio, Frank Lloyd Wright, che, operando per tre generazioni, precorre l’architettura moderna europea e, a mio parere, anticipa la sua liberazione dal momento programmatico. Terza ragione, in America il tronco di architettura organica di Wright ha sposato gli indirizzi europei e da tale connubio è sorto un nuovo movimento. Esso si ritrova, raggiunto per vie diverse, dai paesi scandinavi al Giappone e, invero, nelle intenzioni di molti architetti europei.
Si potrebbe dire che è pericoloso e inopportuno teorizzare su quanto si sta facendo ed è ancora potenziale. Questo può essere vero per uno storico; ma la generazione di architetti che alla fine della guerra sarà chiamata a ricostruire in immensi territori devastati, ha bisogno continuamente di fare un esame di coscienza.
Anche perché, impregnata delle teorie dei padri, se non si propone di pensare criticamente al proprio lavoro, anziché maturarle, le seguirà rigidamente e passivamente, oppure le abbandonerà senza giustificazioni.
Stabiliti i limiti dell’argomento trattato c’è da dire che forse sarebbe stato più esatto intitolare questo libretto “Verso un’edilizia organica” anziché Verso un’architettura organica”, stabilendo cosi dall’inizio che, invece di fare una storia dell’arte, ci si accingeva al compito più modesto di trovare um indirizzo comune nel lavoro contemporaneo. Ma di tale illazione mi devo scusare solo con i critici che distinguono tra momento poetico, ragioni sociali e interesse tecnico. Dato però che il punto di prospettiva dell’autore è quello di un architetto e non di un critico nel senso professionale della parola, e dato che l’argomento trattato riguarda il presente, mi pare che l’uso della voce architettura sia giustificato. Il grande merito delle due generazioni che hanno dato nascimento e vita all’architettura moderna è quello di aver ristabilito, nel lavoro degli architetti contemporanei, l’indissolubile unità dei compiti sociali, tecnici e artistici.

Direzione dei “Bollettini Tecnici” dell’United States Information Service (USIS).

USIS

James Linen del gruppo “Time Incorporation” plana a Roma, in qualità di “Special Assistant to the Director Office of War Information”.
Persuaso che «vendere gli Stati Uniti o la democrazia» equivalga a smerciare la Coca-Cola o i settimanali “Life” e “Time”, fonda l’United States Information Service (USIS). Approccio manageriale. Cosa diavolo bisogna fare in questo paese?
Ecco la mia proposta: consentire un rapido aggiornamento scientifico e tecnico, poiché gli italiani, dal 1940, sono rimasti esclusi dal circuito internazionale. Bollettini mensili, distribuiti gratuitamente in 40.000 copie e fascicoli su argomenti speciali. Risposta di Linen: «Sta bene».
E per gli architetti? Qualcosa di più impegnativo: un compendio di tecnologia edilizia, redatto da italiani su modelli americani.

 

  • Direzione dell’Ufficio urbanistico del sottosegretariato alle Belle Arti, durante il governo Parri.

1946

Pubblicazione del "Manuale dell’architetto".

Il “Manuale dell’Architetto”

Nella foto, da sinistra, Biagio Bongioannini, delegato da Gustavo Colonnetti, Mario Ridolfi e Pier Luigi Nervi mentre organizzano, nell’ ambito del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Manuale dell’Architetto. Un anno speso all’USIS, in un’attività che pochi conoscono e ricordano, ma di importanza decisiva per le categorie professionali.
Contemporaneamente, si organizza con Carlo Ludovico Ragghianti, sottosegretario alle Belle Arti nel governo Parri, l’ufficio urbanistico del Ministero della Pubblica Istruzione. Vi lavorano Enrico Tedeschi e Franco Minissi. Ma, con l’avvento di De Gasperi, viene soppresso.

Condirezione del settimanale “A – Cultura della vita”.

“A-Cultura della vita”

Settimanale pubblicato a Milano nel 1946 e diretto insieme a Carlo Pagani e Lina Bo. La casa editrice Domus lo interruppe dopo il n. 8, in seguito ad un articolo sul controllo delle nascite.
Campagna elettorale, per le amministrative romane, del Partito d’Azione nella list “Blocco del Popolo”.

Il “Blocco del Popolo”

Dopo la famigerata scissione del Teatro Italia nel 1946, malgrado la stima per Parri, La Malfa e Ragghianti, restai nel Partito d’Azione. Anzi, partecipai alle elezioni romane nella lista “Blocco del Popolo”, mentre la maggior parte degli “azionisti” o dei “paz” era ostile all’alleanza con i social-comunisti.

Studio professionale con Luigi Piccinato, Enrico Tedeschi, Cino Calcaprina e Silvio Radiconcini.

Critico al tavolo da disegno

Professionista, no; ma neppure rifugiato negli studi storici per impotenza creativa. Il critico, coinvolto nelle tensioni delle avverse poetiche, mira anzi a determinare una produzione più vasta, mediata dai colleghi.
Cosa gli interessa? L’impianto generale, i contenuti e gli obiettivi del programma; poi, i particolari, le modanature. In breve, il primo e l’ultimo atto, il gesto iniziale e la verifica dei segni. Come avviene? In due modi: con uno schizzo a mano libera tracciato su un pezzetto di carta; dopo il travagliato iter progettuale si constata che il messaggio dell’opera è racchiuso proprio lì. Oppure, con un espediente indiretto, ancor più efficace.
Scrive un articolo immaginario, percorrendo l’edificio come se fosse realizzato. Sottolinea l’idea, il metodo e, soprattutto, i difetti che rappresentano il prezzo necessario di una scelta coerente. Nel risultato effettivo, il rapporto tra pregi e demeriti si altera, ma non sempre negativamente.

PALAZZINA IN VIA MONTI PARIOLI 15, ROMA.
Con Luigi Piccinato e Silvio Radiconcini. Il principio lecorbusieriano delle «ville sovrapposte», evidenziato nelle dissimmetrie volumetriche.

RESTAURO DI VILLA AURELIA, ROMA.
Alla sommità del Gianicolo, l’edificio liberato, nel 1946, dalle spurie aggiunte ottocentesche.

PALAZZINA IN VIA PISANELLI 1, ROMA.
Con Silvio Radiconcini. Quattro «ville» articolate come se fossero in campagna, completamente isolate. Organicità wrightiana nell’universo urbano di Le Corbusier, con profilo di tetti “alla Gaudì”.
Lo schema è fra i più innovativi, ma l’allineamento delle finestre e gli incastri fra balconi e pilastri ne attenuano l’espressività.
Si conclude così, nel 1950, la collaborazione con Piccinato e Radiconcini, il «team» che ha prodotto anche il Ridotto del Teatro Eliseo, in via Nazionale a Roma.

  • Lezioni all’Università per Stranieri, Perugia.

1947

  • Lezioni di Architettura alla Scuola per Assistenti Sociali di Roma.
Primo Congresso Nazionale delle APAO

Il Primo congresso delle APAO

Il primo congresso delle APAO ebbe luogo a Roma, nel salone dell’Accademia d’Arte Drammatica, presenti personalità di tutta Italia. Pronunciai un discorso, “L’architettura organica di fronte ai suoi critici”, che riscosse un consenso unanime ed è pubblicato in “Zevi su Zevi” Architettura come profezia. Splendido il congresso delle APAO e del MSA di Milano, che ebbe luogo a Palermo per iniziativa di Edoardo Caracciolo. Ne restano fotografie divertenti.

Inghilterra. Architectural Association School of Architecture di Londra.

Ammissione al terzo anno all'Architectural Association School of ArchitecturePoco dopo la partenza di Ragghianti, scoppiò la guerra. Ero a Cambridge con un mio amico di Torino, Bruno Fuà, e sentimmo per radio il discorso di Chamberlain. Mi ero iscritto alla scuola di architettura dell’Architectural Association di Bedford Square a Londra. Un giorno apprendemmo che si era trasferita a Bartnett e andammo lì.
Frequentavo la scuola e la sera scrivevo “Brunelleschi”, un saggio da tempo programmato. La notte, spesso, un sogno-incubo: ero tornato a Roma e, non appena salutati i genitori, mi avviavo in via Venti Settembre verso la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane. Era la mia passione, volevo rivederla. Eccola lì, mi avvicinavo, la sbirciavo di scorcio e procedevo; ma, avvicinandomi, la chiesa spariva, e mi svegliavo in un bagno di sudore. Per farla breve, una sera, Bruno Fuà mi chiamò per mostrarmi un articolo terrorizzante sulla possibile guerra chimica. «Qui non possiamo rimanere. Dobbiamo andare in America, tanto più che Walter Gropius insegna a Harvard. Scriviamo ai nostri genitori, vediamo come reagiscono».
Scrivemmo. I suoi, che vivevano a Parigi, dissero no. Mio padre da Roma disse sì e programmò un tragitto Londra-Roma e, dopo dieci giorni, Napoli-New York, il tutto con un permesso speciale della polizia.

1948

  • Libera docenza in Storia dell’Arte e Storia e Stili dell’Architettura e in Caratteri Stilistici e Costruttivi dei Monumenti.
Incaricato di Storia dell’Arte e Storia e Stili dell’Architettura all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

Incarico a Venezia

La battaglia universitaria fu combattuta con limitata energia, perché alcuni iscritti all’APAO erano assistenti universitari. Ma servì a scuotere le acque, a preparare alternative. Un giorno venne all’APAO Giuseppe Samonà, diventato rettore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Disse che il Ministero stava predisponendo i concorsi per la libera docenza. Ci spinse a partecipare. «Tu soprattutto devi concorrere» disse, rivolgendosi a me. «Hai scritto Verso un’architettura organica e altri saggi. Devi candidarti per la libera docenza in Storia dell’Architettura». Non ci avevo mai pensato, detestavo l’idea di appartenere ad un’istituzione. Ma seguii il consiglio di Samonà. Nel 1948 mi presentai con sette pubblicazioni, vinsi due libere docenze in materie storiche affini ed ebbi subito un incarico di insegnamento a Venezia.
A Venezia Samonà raccolse i profughi, i non-professori, i migliori architetti moderni di tutta Italia: Luigi Piccinato, Giovanni Astengo da Torino, Franco Albini, Ignazio Gardella, Ludovico Belgiojoso, poi Giancarlo De Carlo ed altri. Una Facoltà d’avanguardia incuneata in una struttura universitaria vecchia. Una sfida alle altre Facoltà, agli altri atenei.
Quindici anni di intenso e appassionato insegnamento a Venezia, con due eventi: la prolusione del 1948, dedicata allo storico dell’arte austriaco Franz Wickhoff, scopritore dei caratteri originali dell’arte romana; e la prolusione del 1963, con cui si inaugurò la sede dei Tolentini, dedicata a Michelangiolo architetto. Avevo appena vinto il concorso per la cattedra di Storia dell’Architettura promosso dall’Università di Palermo. Era il primo concorso di Storia dell’Architettura indetto in Italia. Risultati: 1. Bruno Zevi; 2. Guido Di Stefano; 3. Renato Bonelli.
Avevo rinunciato a Palermo. Nell’Auditorium dei Tolentini, gremito, si distingueva: la haute artistocratica veneziana, dal conte Cini in giù, che mi aveva ignorato per quindici anni.
Segue un pranzo di festeggiamento sulla terrazza dell’Hotel Danieli. Al centro del lungo tavolo ci sono io, con a fianco, da un lato, il Sindaco di Venezia, Favaretto Fisca e, dall’altro, il presidente della comunità israelitica di Venezia. Fra i convenuti: Sergio Bettini, Emilio Vedova, Riccardo Musatti, Giuseppe Mazzariol e molti altri che si possono riconoscere nelle fotografie. Dovrei essere felice ma, come sempre in queste occasioni, sono rovinato dal mal di denti.

  • Incaricato di Storia dell’Architettura Moderna nella Scuola di Perfezionamento in Storia dell’Arte alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma.
Pubblicazione di "Saper vedere l'architettura".

“Saper vedere l’architettura”
Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura

Einaudi, Torino 1948; Edizioni di Comunità, Torino, 2000. Edizione spagnola “Saber ver la Arquitectura”-Ensayo sobre la interpretación espacial de la arquitectura, Editorial Poseidon, Buenos Aires 1951. Edizione inglese “Architecture as Space”-How to look at architecture, Horizon Press, New York 1957; Da Capo Press, New York 1993. Edizione ebraica, Università di Gerusalemme, Gerusalemme 1957. Edizione slovena “Progledi na arhitecturo”, Cankarjeva Zalozba, Ljubljana 1959. Edizione francese “Apprendre à voir l’architecture”, Editions de Minuit, Parigi 1959. Edizione ungherese “Az épitészet megismerése”, Mûuszaki Könyvkiadó, Budapest 1964. Edizione croata “Kako gledati arhitekturu” Savremena Stampa Beograd 1966. Edizione cecoslovacca “Jak se dívat na arhitekturu”, Éeskoslovenský Spisovatel, Praha 1966. Edizione giapponese, Charles E. Tuttle, Tokyo 1966. Edizione portoghese “Saber ver a Arquitectura”, Arcadia, Lisboa 1966. Edizione romena “Cum sa Înpelegem Arhitectura” Editura Tehnica, Bucaresti 1969. Edizione cinese, Shangai 1985.

1950

Pubblicazione di "Storia dell'architettura moderna".

“Storia dell’architettura moderna”

Einaudi, Torino 1950; Edizioni di Comunità, Torino 2001. Edizione spagnola “Historia de la arquitectura moderna”, Emecé Editores, Buenos Aires 1954. Edizione portoghese, Editoria Arcádia, Lisboa 1970.

Articolo "Un ministero dell'urbanistica?" su "La lotta socialista".

Un ministero dell’urbanistica?

“La lotta socialista”, settimanale del Partito Socialista Unitario, 11 febbraio 1950.

Citiamo alcuni brani:
«Se le forze democratiche scaturite dalla Resistenza avessero prodotto una classe dirigente coraggiosa non solo sul terreno politico, ma anche nei compiti della ricostruzione, questa classe dirigente, una volta giunta al governo, avrebbe emanato un decreto radicale: non si ricostruisce una sola casa, una sola industria, una sola strada senza aver prima approntato un piano generale di ricostruzione. Unica alternativa a tale impostazione socialista della ricostruzione era quella liberale, in cui il governo si arrende all’iniziativa privata e, calcolando che siamo sotto vari aspetti materiali e psicologici in un periodo espansionista, pre-industriale, pre-capitalista, abbandona la produzione e il paese al libero gioco del mercato… I nostri governanti non hanno avuto il coraggio di abbracciare né la soluzione socialista moderna, cioè pianificatrice, né l’alternativa liberale. Hanno vivacchiato ispirandosi un po’ all’una, un po’ all’altra direttiva… Non sapendo governare, la classe dirigente democratica ha bloccato i fitti, ma li ha sbloccati per le nuove costruzioni, sovvenziona in maniera larghissima e antieconomica la ricostruzione delle case distrutte da parte dei privati, ha condotto, per l’assorbimento della mano d’opera operaia, scandalosi lavori a regia; tutto questo in un disordine amministrativo che esautora qualsiasi possibilità di procedere seriamente…».
«Un Partito Socialista non meramente agitatorio, cioè non incartapecorito su parole d’ordine tradizionali e vacue, presenterà al paese un programma… Raccoglierà i dati esatti del fabbisogno di case, peserà questo fabbisogno contro le altre esigenze della ricostruzione, stenderà un piano, almeno decennale, per risolverlo, preciserà l’entità dell’intervento statale… Un Partito Socialista che non abbia formulato un piano, potrà essere un partito di eroi della Resistenza, ma sarà inefficiente nella conduzione governativa perché incapace di tradurre vaghe esigenze nelle realtà dure, bloccate, dell’amministrazione burocratica, ancora in larga misura fascista».
«Chi lanciò per prima in Italia l’idea di creare un Ministero della Pianificazione Urbanistica fu l’APAO, un’associazione di architetti antifascisti…»

1951

  • Premio europeo Ulisse-Cortina per la critica d’arte, assegnato a “Saper vedere l’architettura”.
Consegna della laurea honoris causa a Frank Lloyd Wright di Venezia.

F. Ll. Wright a Venezia

«Il patto che a voi ci lega è più saldo e vincolativo, più vero perché più libero, del Patto Atlantico» (dal discorso tenuto il 21 giugno 1951, nella Sala dei Pregadi a Palazzo Ducale, consegnando al genio americano la laurea honoris causa in architettura).

  • Laurea honoris causa conferita dall’università di Buenos Aires.
  • Membro onorario della Società Centrale degli Architetti Argentini.
  • Accademico residente del Collegio degli Accademici, Accademia di Belle Arti a Venezia.
Segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (fino al 1969).

Segretario Generale dell’istituto Nazionale di Urbanistica

Nel 1950 Adriano Olivetti fu eletto presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. L’anno successivo io ne fui eletto segretario generale e trasferii nell’I.N.U. le illusioni dell’APAO. Per diciotto anni sono stato segretario generale, organizzando grandiosi congressi biennali e convegni di studi. Il congresso del 1952 sulla Pianificazione Regionale fu memorabile. Seguirono congressi sulla Pianificazione Intercomunale e Comunale, nel 1960 il congresso sul Codice dell’Urbanistica. A Napoli nel ’68, il congresso fu interrotto dalla gazzarra studentesca; per evitare di arrendermi come gli altri, partii immediatamente dalla città. Tra i convegni di studio, indimenticabile fu quello in Sicilia, da me organizzato in modo, dicevo, da «ingerire, una volta per tutte, il latifondo dell’isola». Giorni e notti di cammino in autobus, senza mai toccare un insediamento abitato. Fatica enorme, che provocò l’abbandono di molti partecipanti e la protesta degli altri. Ce l’avevano tutti con me, che avevo ideato l’insopportabile programma. Chi l’ha vissuto però, ha introiettato per sempre la realtà del latifondo. Ho lasciato la segreteria dell’INU dopo diciotto anni, dopo aver fondato nel 1959 l’Istituto Nazionale di Architettura (In/arch).

1952

  • Membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Sezione Urbanistica.

1953

Campagna elettorale di Unità Popolare contro la «legge-truffa».

La «Legge-Truffa» del 1953

L’ultimo evento prima del 1954, quando comincia il settimanale “Cronache”, è la campagna di “Unità Popolare” nelle elezioni del 1953. Ho raccontato la vicenda in un congresso. Non voglio ripetermi, ma non posso tacerne perché è un episodio che ho vissuto per mesi e mesi con enorme passione, con grande fatica. Si tratta di questo. Improvvisamente, come un colpo di stato, passa in Parlamento una nuova legge elettorale promossa dall’on. Ruini, legge che sarà denominata la «legge truffa».
Prevede che i partiti si possano coalizzare in modo da raggiungere una maggioranza cui sarà conferito un premio da ripartirsi proporzionalmente al numero di voti ottenuti da ciascun partito della coalizione. In pratica, si alleano D.C., P.S.D.I., P.R.I. e P.L.I. e si presentano insieme. Se insieme raggiungono il 51% dei voti, scatta il premio di maggioranza diviso proporzionalmente tra i quattro partiti. Il che significa, in concreto, che la DC, con il 38% dei voti, ottiene il 51% dei seggi parlamentari, e può comandare anche senza l’ausilio dei tre piccoli partiti. Imbroglio formidabile, che nessuno capisce, e che occorre spiegare nelle poche settimane prima delle elezioni. Dico allo studio: «Se passa la “legge truffa”, io non posso più vivere in Italia. Dunque, lascio lo studio, fate voi, io mi occupo solo di politica». Incontro Carlo Levi, lo galvanizzo. Propone di creare un movimento denominato “Unità Popolare”, con simbolo «una stretta di mano». D’accordo. La ribellione contro la «legge truffa» si estende. Oltre a noi, ex-azionisti, determina fratture tra i socialdemocratici, i repubblicani e i liberali. Passano all’opposizione Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, e innumeri altri ex leader del Partito d’Azione. Faccio 38 comizi, da Catanzaro a Udine, nelle condizioni più disorganizzate. Non abbiamo che pochi gruppi locali, non abbiamo mezzi finanziari, non abbiamo gente capace di programmare. Spesso arrivo in un posto (Montobelluno, San Daniele del Friuli, Portogruaro, per fare un esempio, nel Veneto), non trovo nessuno, vado al Partito Socialista dove non sanno neppure cos’è “Unità Popolare”, mi faccio prestare un microfono, lo porto ad un caffè dove mi danno un tavolo che trasporto in piazza. Monto sul tavolo: «Cittadini e cittadine, fra un quarto d’ora, l’arch. Bruno Zevi del movimento “Unità Popolare”, professore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, parlerà contro la «legge truffa»». Incredibile, delirante. Gli studenti di Venezia, vedendo questo giovane e amato docente scatenarsi nella campagna elettorale, mobilitavano amici e parenti e, se ritardavo, chiudevano le piazze nell’attesa. Sei comizi a Venezia, con Mario Soldati che girava un film con una bellissima attrice americana; se la portava appresso, la gente seguiva l’americana e insieme il mio comizio. L’ultima notte, dovevo chiudere a Venezia, ma ebbi l’ordine di chiudere precedentemente a Padova. Raggiunsi il campo con due ore di ritardo. Pensavo di non trovare nessuno, non avevo più voce, ero stanco morto. Invece trovai la piazza affollata, molti stesi per terra, addormentati. Mi commossi, mi tornò la voce, feci un discorso folle, salutando studenti e amici perché, convinto della sconfitta, sarei emigrato di nuovo. Finii leggendo una pagina di Carlo Rosselli, con le lacrime agli occhi.
Vincemmo. Ottenemmo 50.000 voti, quelli che mancarono alla DC per raggiungere il quorum di maggioranza. Vincemmo, ma nessuno fu eletto, neppure Parri, neppure Calamandrei. Tornai a studio soddisfattissimo, e perplesso.

Zevi contro la «legge truffa», un comizio.

Vi chiedo di ascoltarmi per dieci minuti, non più. Sono venuto qui non per far propaganda a qualche partito, ma semplicemente per spiegarvi il meccanismo liberticida di una legge elettorale votata a sorpresa qualche settimana fa e subito applicata in modo che i cittadini non avessero il tempo di capirne il significato.
Neanch’io l’avevo capito, ma quando alcuni amici me lo hanno spiegato, ho deciso di abbandonare ogni altra occupazione per girare disperatamente l’Italia al solo scopo di illustrarvi di che si tratta. Dunque, attenzione!
a) Stabilire un premio di maggioranza è, in sé, perfettamente legittimo. Se un partito ottiene il 50 per cento più uno dei voti, perché non dargli un premio, in modo che la sua prevalenza parlamentare, già acquisita, sia un po’ rafforzata? Le regole democratiche non risultano inficiate da un dispositivo del genere, come si constata in molti paesi stranieri. Ma – ecco il primo punto – in Italia, oggi, nel 1953, nessun partito è in grado di ottenere il 50 per cento più uno dei voti. Allora, cosa hanno escogitato?
b) Una coalizione di partiti: DC, PSDI, PRI, PLI messi insieme. È male? In linea di principio, no. Se i quattro partiti avessero elaborato un programma comune, valido per l’intera legislatura e s’impegnassero a governare unitariamente per realizzarlo, la coalizione potrebbe essere interpretata come equivalente a un solo partito, sia pure di varie sfumature, e il premio di maggioranza sarebbe ammissibile. Ma questo non è affatto il caso. Perciò l’imbroglio, la truffa!
c) La coalizione non ha un programma comune e non implica l’impegno dei quattro partiti a restare solidali per un quinquennio.
La legge maggioritaria è un mero espediente per carpire il premio e poi dividerselo in quattro fette. Con quale criterio se lo vogliono dividere? La proporzionale, cioè percentuali rapportate al numero di voti ottenuti da ciascun pattito. Attenzione! Qui sta lo scandalo! Perché, se la DC raccoglie il 38 per cento dei suffragi e la coalizione il 50 per cento più uno (con il 12 per cento più uno dato al PSDI, al PRI e al PLI), scatta il premio, e la fetta assegnata alla DC porta i suoi deputati dal 38 al 51 per cento. A questo punto, la DC non ha più bisogno dei suoi alleati, li ha strumentalizzati per le elezioni, può prenderli a calci o liquidarli cortesemente, ma comunque può seguitare a comandare senza remore e controlli, a spadroneggiare per altri cinque anni!.

1954

Titolare della rubrica di architettura del settimanale "Cronache".

Rubrica di architettura sul settimanale “Cronache”

Un famoso commediografo irlandese, George Bernard Shaw, diceva che scrivere un articolo alla settimana è impossibile. Si possono scrivere due o tre articoli al giorno, dieci al mese, ma uno alla settimana no. Io ho scritto un articolo alla settimana per 46 anni. La cosa nacque così: ricevetti una telefonata da un signore, Gualtiero Jacopetti, il quale, intenzionato a varare un nuovo settimanale dal titolo “Cronache”, chiedeva di incontrarmi. Mi disse: «Desidero che lei pubblichi una serie di saggi, da due a dieci, sulla città di domani». Risposi: «Non ci penso neppure, non ho tempo da perdere con i settimanali. In un solo caso ammetterei di collaborare: se mi affidate una rubrica fissa, che legittimi l’architettura, vicino alla letteratura, la musica, le arti figurative, il cinema, le scienze». Jacopetti ci pensò per un giorno, poi disse: «Si può fare». Così è nata la rubrica di architettura “Cronache” passata l’anno seguente all’Espresso. Il primo numero di “Cronache” esce il 18 maggio 1954, l’ultimo il 30 novembre dello stesso anno. L’atmosfera politica e culturale è pesante. Siamo a dieci anni dalla lotta di liberazione, e l’impeto della resistenza si è spento. Finito dal ‘47 il Partito d’Azione, chiuso “Il Politecnico” di Elio Vittorini, dopo la vittoria conseguita dalla Democrazia Cristiana nel ‘48 si vive in un clima plumbeo, che Carlo Levi ha descritto ne “L’orologio”. La mia rubrica si apre con un bilancio architettonico del decennio ’44-’54, con lo splendido memorial delle Fosse Ardeatine a Roma, con il concorso per il corpo frontale della stazione Termini, con il villaggio della Martella presso Matera e la fabbrica Olivetti a Pozzuoli. Tra le opere più significative, la ricostruzione del michelangiolesco ponte a Santa Trinita a Firenze, il progetto di una palazzina sul Canal Grande di Frank Lloyd Wright, con la furibonda polemica che ne seguì, un auditorium sospeso di Franco Albini per la Triennale di Milano, i primi allestimenti museografici.